Collezione Salsapariglia, dal lavoro della terra nasce la storia di mio padre

Collezione Salsapariglia, dal lavoro della terra nasce la storia di mio padre

10 Gennaio, 2019Marzia Salsapariglia | Reggio Emilia (Italia)

 

 

Mio padre

Se penso a mio padre, penso al lavoro, al sacrificio, alla fatica.
Se penso a mio padre penso alla sua curiosità, alla sua voglia di comprendere e di scoprire, ancora oggi, ciò che non conosce. Se penso a mio padre, penso alla sua voglia di vivere ed alla sua caparbietà, anche nei periodi più difficili della vita.

 

Dalla terra alla meccanica

La sua storia nasce da lontano, nasce dal lavoro della terra, prima sui pochi ettari del padre, mezzadro di quel piccolo appezzamento, poi come moto-aratore per conto terzi. Ancora oggi, mi racconta come doveva essere fatta allora una corretta aratura, come se tra lui e la terra esistesse un rapporto quasi carnale. Con gli occhi che guardano lontano e sembrano rivedere quei momenti, descrive la felicità di quei tempi, quando al sabato, dopo una settimana di duro lavoro, andava in bicicletta con gli amici fino alla vicina cittadina di Correggio, a vedere un film, o meglio ancora ad una festa a casa di qualche ragazza, a ballare sulla musica di rari grammofoni. Ma il suo grande interesse era la meccanica; cercare di comprendere il funzionamento del motore, e costruire macchine agricole che alleviassero la fatica da lui provata. Mi racconta che già esistevano trattori, ma “pesanti”, adatti solo per il lavoro di grandi appezzamenti.

Così alla fine degli anni ’40, inizia la sua prima avventura con la meccanica; con un amico cominciarono prima ad aggiustare trattori, poi a costruirne. I primi trattori nascevano dall’assemblaggio di residuati bellici, denominati “carioca”, poi negli anni ’50, iniziarono a fare alcune serie di trattori nuovi, ideati e costruiti da loro tranne il motore, che era della ditta Slanzi. La nuova ditta portava il nome di LESA. Era felice, aveva raggiunto il suo obiettivo, riuscendo ad applicare su queste nuove macchine, anche delle innovazioni nate dalla sua esperienza, che sul mercato trovarono un buon consenso. Ma agl’inizi degli anni sessanta, qualche cosa cambiò in merito alla costruzione e commercializzazione dei trattori. Questo costrinse mio padre a cercare altro, rimettendosi ancora una volta in gioco. Puntò su di un nuovo prodotto, diverso, maneggevole ed innovativo, e cominciò a commercializzare Motoseghe. Con l’amico e parente Ariello Bartoli fondarono nel 1965 la ditta SABART, dove iniziarono a produrre e commercializzare le primissime motoseghe, ma ancora troppo pesanti e poco maneggevoli.

In seguito con l’ingresso di nuovi soci e nuove idee, nel 1972 la ditta OLEO MAC, dove cominciarono a produrre in proprio le prime macchine. Nel 1992 nacque la ditta EMAK ed infine, diedero vita ad una Holding, la YAMA, che permise di riunire le varie società di un gruppo che nel tempo era diventato sempre più articolato. È una storia che parte da lontano quella di mio padre, una vita vissuta con l’alternanza di momenti difficili e di momenti felici, pieni di grandi soddisfazioni. Oggi, guardandolo nella saggezza dei suoi 92 anni, vedo sul suo volto la soddisfazione di aver realizzato il sogno di quel ragazzo quindicenne.

 

Perché un museo

Ho fatto un museo, per far vedere ai giovani e meno giovani, da dove veniamo. La mia passione per la meccanica, mi ha portato negli anni a “raccogliere” e restaurare diverse moto, ognuna con una caratteristica particolare, nata dall’ingegno dell’uomo. Considero la meccanica come qualche cosa di vivo. Riuscire ad assemblare dei pezzi di metallo per creare un oggetto funzionante e dinamico, mi ha sempre affascinato. Così oltre le moto, ho cominciato a collezionare anche motori agricoli e i trattori che avevo costruito negli anni ’50. Un amico sorridendo mi sottolinea che io sono “l’uomo che colleziona se stesso”, non posso dargli torto. Ma la meccanica è presente ovunque; così pensando alla mia giovinezza, fatta di duro lavoro, ma anche di serate con gli amici in giro in bicicletta, o a volte a ballare in casa di qualche amica, ho cominciato a collezionare biciclette, grammofoni e radio. Ballare mi è sempre piaciuto, era uno dei pochi divertimenti che potevo permettermi e da qui nasce la curiosità nel conoscere il loro magico funzionamento, soprattutto quello dei primi Edison. La prima ditta che feci, era ubicata in via Adua, a Reggio Emilia, poco distante alle Officine Meccaniche Italiane (OMI), denominate “Officine Reggiane”. Per me erano un esempio da seguire e da ammirare, un orgoglio per noi di Reggio Emilia. All’interno lavoravano migliaia di operai e numerosi ingegneri che nel tempo, grazie anche alla presenza nelle Officine di strumenti appositi, per studiare i diversi tipi di materiali e le loro caratteristiche, strumenti impensabili di poter allora possedere, riuscirono a progettare e realizzare diverse cose, tra cui aerei, treni, gru per navi, ecc. Grazie ad alcuni carissimi amici, ho esposto all’interno della collezione alcuni di questi oggetti, per me sono quasi sacri e sono molto orgoglioso di poter far rivivere tramite loro, quello che era una grande realtà reggiana.
Quando sono all’interno della collezione, e vedo tutto ciò che nel tempo è stato fatto e costruito, mi sento un uomo realizzato, in pace con me stesso.
Nello Salsapariglia

 



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